Testo criticoZofia Rydet

Zofia Rydet (Stanisławów, 1911– Gliwice, 1997) una volta ha dichiarato: “Il bisogno di scattare foto è per me una dipendenza, come la vodka per un alcolista”. Dopo aver abbracciato la passione per la fotografia all’età di quarant’anni, nel 1978 Rydet ha intrapreso una missione impossibile, quella di fotografare gli interni di tutte le case della campagna polacca, un progetto al quale si è dedicata fino al giorno della sua morte e che ha prodotto un inventario di ventimila negativi intitolato Sociological Record (1978–97), con immagini di oltre cento villaggi e cittadine. Rydet si è concentrata soprattutto sulla gente di campagna, bambini e madri, fotografandoli con obiettivi grandangolari e solitamente con il flash, evidenziando i dettagli più crudi degli interni delle loro case. Analizzando la disposizione di elementi di arredo quali specchi, stufe, televisori e tappezzerie, e come le convinzioni individuali, politiche e religiose si traducono negli spazi domestici, Rydet evidenzia la capacità mnemonica della fotografia di preservare non soltanto l’esistenza delle persone, ma anche la loro essenza. Nei fotomontaggi intitolati World of Feelings and Imagination (1975–79), Rydet ha scoperto il processo liberatorio del collage, combinando ritagli delle sue stesse fotografie che poi rifotografava. In quasi cento immagini surrealiste, con motivi come guanti che emergono dal fango, manichini, rami di alberi secchi e orizzonti di scenari post-apocalittici formati da curve femminili, Rydet focalizza la propria attenzione su ciò che chiamava ‘sensazioni e desideri, solitudine e paura per le quali l’unico rimedio è l’amore, e la tragedia dell’evanescenza’.